L’articolo 5 ter del Dlgs 28/2010, introdotto dalla Riforma Cartabia, dispone che l’amministratore possa attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi senza alcuna preventiva delibera assembleare autorizzativa. Quando l’oggetto rientra nella materia condominiale, la mediazione è condizione di procedibilità con la conseguenza che è necessaria la difesa tecnica. La norma della riforma inizialmente salutata come un’opportuna misura diretta a semplificare e snellire le procedure conciliative in materia condominiale, ha però poi ingenerato dubbi e perplessità operative.
Le nuove responsabilità in capo all’amministratore
Il promovimento o l’adesione a una mediazione, infatti, è una decisione che comporta scelte e spese, quanto meno le anticipazioni per la difesa tecnica, le indennità di mediazione, senza contare le conseguenze nell’eventuale futuro processo in tema di spese di lite, scelte e spese delle quali l’amministratore potrebbe essere chiamato a rispondere all’interno del condominio. In breve: a fronte di nuove facoltà, gravano sull’amministratore nuove responsabilità.
Una recente ordinanza della Corte Suprema (Cassazione 2119 del 29 gennaio 2025), nel riaffermare il principio che «L’amministratore condominiale ha un’autonoma legittimazione alla nomina del difensore del condominio amministrato, pur in assenza di preventiva autorizzazione assembleare, ove la controversia rientri nell’ambito delle attribuzioni di cui all’articolo 1131 Codice civile» contribuisce a limitare la portata del problema. Consente, infatti, di affermare che l’amministratore può procedere alla nomina di una legale senza autorizzazione assembleare almeno nei casi nei quali la controversia rientri tra le sue attribuzioni, principio che può trovare applicazione anche in riferimento al procedimento di mediazione.
La scelta del legale
Resta aperto il problema, per tutte le materie che non rientrano nelle attribuzioni dell’amministratore. In tema, vanno ricordate le due pronunzie della Sezioni unite (numero 18331 e numero 18332 del 2010) secondo le quali, in caso di controversie che non rientrano tra quelle che può proporre autonomamente, l’amministratore non è legittimato a resistere in giudizio senza una preventiva delibera ovvero senza una successiva ratifica assembleare. La mancanza di tale delibera determina l’inammissibilità della costituzione in giudizio con la conseguenza, tra le altre, che l’incarico conferito al legale non è riferibile al condominio.
La ratifica dell’intesa è riservata all’assemblea
Ci si deve chiedere se tali principi possano trovare applicazione anche in riferimento alla mediazione, che condivide con il processo alcune caratteristiche pur non essendo propriamente una fase processuale. La risposta dovrebbe essere affermativa in considerazione del principio che l’assemblea è l’organo decisionale sovrano del condominio. Potrebbe essere forse valorizzata l’ultima parte dell’articolo 5 ter citato, laddove riserva comunque all’assemblea l’approvazione o meno di un ipotetico accordo di mediazione, come ratifica implicita dell’operato dell’amministratore.
Ma anche tale interpretazione, non sarebbe sufficiente quanto meno in tutte le ipotesi di mancata approvazione dell’ipotetico accordo di mediazione; non vi sarebbe ratifica neppure implicita dell’operato dell’amministratore sul quale continuerebbero a gravare le responsabilità per le scelte compiute e per le spese sostenute. Non ci si può che rammaricare della mancata considerazione del problema nel correttivo della mediazione.